di Rossella Quitadamo
Il giovedì al Ponte Vecchio è sinonimo di Kabala e Kabala a Pescara significa musica di qualità. Ma per quanto riguarda ieri sera il significato si è ampliato fino a comprendere quasi ogni espressione della creatività umana: la musica la danza il cinema il teatro e la letteratura. Una esperienza sensoriale completa.
Le canzoni dei Beatles sono qualcosa che è ormai parte del bagaglio culturale e musicale di chiunque, a partire dagli anni 60 in poi, una conoscenza diretta o indiretta che ognuno di noi si porta dentro.
Dunque quello di Marco Di Marzio non è stato né un confronto con i mostri sacri della musica moderna né un ennesimo tributo al loro mito: è stato un narrare di sé.
Come nel linguaggio una parola può assumere significati diversi a seconda del contesto o del modo in cui viene pronunciata così le evergreen dei Baronetti Inglesi sono diventate strumenti di un lingua universale che Di Marzio adopera per narrare e per raccontarsi. Decantati dalla sapiente, a volte visionaria mano di Marco e spogliati di ogni eco storica e di ogni etichetta, dei celebri successi dei Faboulous Four è rimasta solo l’essenza, un distillato che diventa un canto dell’anima, la rielaborazione intima di un mito, un archetipo.
È come se avesse voluto portare la platea in un viaggio attraverso territori insoliti e inesplorati, evitando la vertigine del nuovo con la rassicurante tranquillità di motivi conosciuti da tutti.
Ma di acqua sotto i ponti ne è passata dall’epoca dei Beatles e Di Marzio è un grande musicista del nostro tempo: la sua musica risente di tutta l’evoluzione culturale e risuona del suo notevole bagaglio di musicista colto. Nella contaminazione tra generi diversissimi, jazz rock pop e fado, le versioni live di “Here there and everywhere” o “All my loving” ad esempio, hanno uno stile personalissimo e inconfondibile al cui confronto i pezzi originali dei Beatles -ebbene sì- diventano ben poca cosa
E che quella di ieri sera non fosse una semplice cover lo si è visto anche da tutto ciò che ha accompagnato le note dei quattro bravissimi musicisti e la melodiosa voce della cantante: una performance artistica che ha visto coinvolto l’intero Parnaso ed ha messo al lavoro tutte le muse.
Un video introduttivo curato da Nausica D’Aurelio ha collocato la serata nella giusta dimensione tra storia e leggenda. Le nostalgiche immagini d’epoca dei baronetti all’apice del successo si sono fuse con moderne riprese live di Marco Di Marzio; le note originali di Michelle sono quindi diventate realtà sul palco del Ponte Vecchio nella splendida e sensualissima versione di Libera Candida D’Aurelio in un duetto con il basso di Di Marzio.
Arnaldo Guido e Federica Nico ci hanno donato momenti di squisita recitazione su pagine di Pessoa sapientemente scelte da Azzurra D’Aurelio come prologo e intermezzo a Norvegian Wood, The long and winding road, Imagine.
Anche Tersicore, musa della danza, non è voluta mancare ieri sera nelle vesti di Noemi Ricci che ha ballato sulle note di una “I wont to hold your hand” cominciata dolce e malinconica come un fado e finita in una apoteosi di crescendo.
Quella di Candida non è stata l’unica a stregare la gremitissima platea di ieri sera, impagabile anche l’incredibile voce calda di Massimiliano Coclite che ci ha regalato una versione dolcissima e intima di “Strawberry field forever” e “Imagine”. E che dire di “I Saw Her Standing There” interpretata con una verve degna di Bruce Springsteen da Di Marzio?
Ma di spazio per il talento di tutti c’è ne è stato tanto, tutto quello che mancava in una sala dove era impossibile muoversi anche per lo staff di Ponte Vecchio.
Ed allora ecco gli assoli squisitamente jazz di piano batteria basso e chitarra su “Till there was you”; ecco una versione di “You’ve got hide your love away” fatta apposta per far sbizzarrire uno scalpitante Giancarlo Alfani che ha fatto meraviglie con la sua chitarra duellando con un abilissimo Bruno Marcozzi. Chi ha vinto? Sicuramente l’entusiasmo di chi era sul palco e si è divertito a suonare, cantare e recitare quasi quanto noi a sentirli; sicuramente la commozione, quando alla fine di uno struggente dialogo musicale tra la voce e il piano di Coclite e il basso di Di Marzio c’è stato un abbraccio fraterno tra i musicisti
Quella di ieri -qui è proprio il caso di ripetere una frase di uso comune- è stata una di quelle serate che vorresti non finissero mai e invece volano via in un soffio, ma tant’è: ogni favola ha il suo lieto fine e a me non resta altro che ringraziare gli artisti e tutti coloro che hanno lavorato dietro le quinte per questo splendido giovedì. Grazie Kabala per averci nutriti di nettare e ambrosia come dei dell’Olimpo!