Che sarebbe stata una serata speciale l’8 marzo del Kabala non avevo nessun dubbio: Giancarlo Alfani e Lanfranco De Santis hanno trasformato ancora una volta il Ponte Vecchio in uno spazio dedicato al l’arte tout court
L’ingresso del Ponte Vecchio ha ospitato la performance artistica di Paola Di Giuseppe: una lunga teoria di t-shirt nere, su cui l’artista ha stampato i nomi delle donne vittime di violenza, sono appese ad una corda rossa come il fil rouge della loro vita: i nomi dapprima carichi di colore e significato diventano via via più sbiaditi fino a confondersi con lo sfondo cupo di una esistenza di violenza e sopraffazione, per finire poi lacerati come strappata è stata la vita di tante donne. Un esporre alla luce del sole le loro storie dolorose troppo spesso sepolte da silenzi complici, un insolito “bucato”, un gesto quotidiano femminile che diventa catarsi.
Dopo questo toccante momento di riflessione una nuova sorpresa ed un’altra rinascita: sul palco del Ponte Vecchio era fiorita una insolita primavera di fiori, merito del genio di Francesca De Marinis che a sua volta sublima nell’arte creativa materiale povero facendo rinascere a nuova vita bottiglie e tappi di plastica, barattoli di metallo e poco altro.
Ma poi sono arrivate Elisabetta Antonini e Marcella Carboni e con loro la musica, quella che travolge e trascina fin dalla prima nota. E non ero più lì ma in un altrove di sogno e non c’erano più sette piani al di sopra del Ponte Vecchio ma riuscivo ad ammirare lo splendore della luna piena che inondava della sua luce magica la notte di Pescara.
E’ difficile descrivere con frasi e parole le sensazioni che si provano ad ascoltare dal vivo queste due artiste, la musica, quella che ti fa rabbrividire, è un messaggio che va dritto al cuore, troppo immediato per imprigionarlo negli schemi sintattici del linguaggio.
Dalla simbiosi tra una voce sorprendentemente espressiva ed uno strumento musicale straordinariamente in equilibrio tra jazz e classicità nasce una intesa perfetta che consente ad Elisabetta e Marcella di spaziare tra passione e suggestione, di giocare con le loro emozioni divertendosi e divertendo, di descrivere con un linguaggio squisitamente femminile le semplici ma eterne certezze della vita: l’amore, la bellezza ma anche la solitudine, il rimpianto, l’abbandono.
Le profondità dell’animo umano quasi fossero un oceano inesplorato, sono scandagliate, analizzate e restituite al pubblico in una veste lieve, elegante e raffinata ma mai banale né superficiale perché, da donne, riescono a parlare con dolcezza anche di dolore quando è necessario.
Era indiscutibilmente il mare con i suoi profondi abissi e le sue correnti ma anche con le sue calme serene che ieri sera hanno celebrato sul palco del Kabala Elisabetta Antonini e Marcella Carboni. Un mare in tutte le sue nuance di azzurri e di blu: intriso di nostalgia nella serena malinconia di sonorità brasiliane come nell’interpretazione di “Choro pro zè” di Guinga e “Summer samba” di Gimbel; o accecante di caldi riverberi in “Lazy afternoon” di Moross ; ed poi ancora il dolce risuono della risacca nell’impareggiabile assolo dell’arpa in “Cerco il mare” scritto dalla stessa Antonini.
Un richiamo costante al mare, fecondo di vita, che sa anche riflettere i colori del cielo e farsi specchio di vita, di quella che nasce come in “Luiza” di Jobim o di quella di tutti i giorni con i suoi errori e i suoi rimpianti come in “Rosa” e le sue “lacrime dalla foresta al mare”.
Ma il mare è anche forza e potenza e furia distruttrice, mito e leggenda, e quando Marcella Carboni riesce a tirar fuori dall’arpa delle vere e proprie magie allora la voce di Antonini si fa sirena ammaliante nelle atmosfere rarefatte di “Parole e ali incerte”, diventa maga ingannatrice in “Circe” (sue composizioni) e sa farsi strega onnipotente e visionaria in “Tutu”di Miller.
Tre capolavori che ascolterò all’infinito per ritrovarmi ancora una volta, come ieri, seduta in riva al mare avvolta nella splendida luce argentata della luna che brillava sulla notte del Kabala