Chiacchiere, idee e libere associazioni con Cecilia Zabala
di Rossella Quitadamo con la collaborazione di Ruben Gimenez
Ieri sera Cecilia Zabala è stata l’ultima ospite internazionale dell’associazione Kabala a salire sul palco del Caffè Letterario.
E’ sudamericana: lo si deduce dalla malinconica serenità delle sue canzoni, è Argentina: lo si sente dal suo spagnolo dolcissimo e musicale, delle sue radici culturali e storiche se ne avvertono gli echi in ritmi e armonie … ma non c’è spazio per clichè e stereotipi, CeZeta -come lei ama chiamarsi- è una musicista completa ed originale: una eccellente chitarrista, una compositrice eclettica, una cantante dalla voce sublime. Un’artista che ama circondarsi di valenti musicisti a cui dare il giusto e meritato spazio sul palco ma capace di reggere da sola la scena.
Cecilia, le sue dita che danzano e il solo suono della sua chitarra; Cecilia e il solo suono della sua voce, che è già di per sé poesia; Cecilia e le sue parole che sono musica ancor prima che significato: un circolo virtuoso in cui le parole diventano musica e la musica si fa poema.
Cecilia che dipinge con voce e chitarra cielo e mare, destino e ricordi, i colori dell’alba e il tempo che passa, Cecilia giocoliera con note e sentimenti, poetessa del sublime e del quotidiano. Cecilia, cuore appassionato e sguardo pulito, è stata ieri sera il dolcissimo dessert di una stagione, quella del Kabala, che ormai volge alla fine.
“con questa canzone comincio a dirvi arrivederci” ha detto CeZeta prima dell’ultimo brano; le sue splendide parole sono il modo migliore per cominciare a dirci arrivederci perché:
“Un addio è come un ponte verso un nuovo inizio,
incerto, avventuroso e solitario, forse,
ma soprattutto vitale.
Addio come distacco,
come presente infinito.
E ‘presente infinito’
è la permanenza nel tempo
di un momento felice. “
L’Argentina non è poi così lontana: per l’intervista a Cecilia è stato fondamentale l’aiuto di Rubens Gimenez “l’Argentino del Caffè Letterario” che ha fatto da interprete tra il mio italiano e lo spagnolo di Cecilia. Grazie Rubens!
Ti senti più cantante o chitarrista?
Cecilia: Dipende dai momenti, in questo momento mi sento tanto chitarrista quanto cantante. Ho iniziato come chitarrista, ho studiato chitarra e a quei tempi cantare era più un divertimento che un vero e proprio impegno. Ora direi che siamo pari. Fondamentalmente io amo il suono: la voce e la chitarra sono due aspetti di me inscindibili; suonare qualcosa equivale a cantarla sono due aspetti di me.
Se dovessi scegliere a cosa rinunceresti: al canto o alla chitarra?
Cecilia: Ahi che domanda difficile! Potrei rinunciare momentaneamente all’uno o all’altra ma per me sono veramente due cose connesse: se canto immagino contemporaneamente i suoni sulla chitarra e viceversa, se suono canto tra me e me la melodia della chitarra
Cosa ispira le tue composizioni?
Cecilia: Le cose semplici e quotidiane. Bisogna aver il cuore e la mente aperti e riuscire a cogliere il meraviglioso che c’è nelle piccole cose. Una luce particolare durante la giornata, il cambio delle stagioni, una cena con gli amici, la magia del silenzio…
E’ più importante il testo o la musica?
Cecilia: Ho cominciato come musicista, solo più tardi ho scoperto il “peso” che hanno le parole insieme con la musica. Delle parole mi piaceva innanzitutto la loro musicalità intrinseca, il loro suono; poi ho cominciato a dare importanza al loro significato. Ora trovo che sia estremamente importante tutto l’insieme, la “trama e i colori” che disegnano insieme il testo e la musica.
Quanto spazio c’è in Argentina per la musica come la tua?
Cecilia: C’è una grande produzione di questo tipo di musica ma rimane piuttosto “sotterranea”, fuori dai circuiti commerciali di cui non gode i favori. I Media non appoggiano questa musica anche se ci sono tanti musicisti che fanno cose davvero interessanti. Un altro problema è la mancanza di posti dove suonare… ma tu sai come siamo noi Argentini, siamo campioni nell’arte di arrangiarsi.
Da insegnante di musica quale consiglio daresti ai giovani musicisti?
Cecilia:Questo lavoro ha due pilastri fondamentali uno è il piacere, il divertimento il gioco, l’altro è lo studio il lavoro e l’applicazione. Si può partire dal gioco senza trascurare il lavoro perché è divertendosi che arriva l’ispirazione. Ma anche da una applicazione ed uno studio metodico nasce l’ispirazione. Se questi due aspetti, quello ludico e quello dell’impegno vanno di pari passo la musica vi sorprenderà.
Come ti sei trovata a suonare qui in Italia e in particolare nella nostra regione, l’Abruzzo?
Cecilia: E’ la seconda volta che vengo a suonare qui in Italia e anche in Abruzzo. Per un Argentino stare in Italia è quasi come essere a casa. Sto cominciando ad imparare la lingua e soprattutto il linguaggio corporale. Sono felicissima di condividere la mia musica con il pubblico abruzzese e soprattutto di condividerla con i musicisti che mi accompagnano in questo tour: Marco Di Natale, Niki Baruli ed Elmar Schafer. La musica subisce le influenze dei posti dove suono e dei musicisti con cui suono: è come se le mie canzoni cambiassero colore: mi piace molto questa intercultura.
Trovi differenze tra il pubblico argentino e quello italiano?
Cecilia: Per me il concerto è un rituale, un mezzo per far arrivare il mio messaggio alla gente. Il pubblico argentino mi conosce sa cosa viene a sentire e capisce le parole dei testi. Qui è sono una sorpresa, comunque cerco di farmi capire in maniera diversa con i gesti, la musicalità delle parole e la musica stessa